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dubbi solstiziani: è meglio se ti insegno ad essere stronzo o a riconoscerne uno?

Eravamo al parco ieri. L’aria tiepida e uno sciame di bambini scalmanati, guidavano i miei pensieri.

Ho sviluppato questa cosa che mi consente di fare il vuoto intorno, pur nel mezzo del caos assoluto. E’ una forma di autodifesa: il cervello ovatta le orecchie mentre gli occhi, inesorabili, vagano.

Guardavo i bambini correre, lanciarsi la palla e cambiare gioco ad ogni passo, escludersi da un gruppo per riformarne uno identico, ma con dinamiche diverse. Il desiderio d’essere ascoltati di qualcuno, e la voglia di sfuggire le parole di un altro. C’era un bimbo che camminava fra gli alberi con il tablet in mano, mentre altri intorno a lui si rincorrevano, interrompendosi a tratti per guardare sul monitor se il record era stato battuto!

Seduti sulle panchine, e in piedi fra scivoli e altalene, gli adulti fanno da vedette, scambiano parole e inspirano raggi di luce nuova.

Mi sono seduta sul prato e ho lasciato che i pensieri si intrecciassero liberi – e disordinati – sempre con occhio vigile sul mio pirata.

La mostra in corso alla Torre, la cena dalla suocera, i blocchi appliqué di maggio e giugno inconclusi, il bucato steso da giorni, le vacanze prossime, il lavoro in ufficio sempre più stretto, le zanzare che pungono e risucchiano sangue, il sole che scalda, la nuova tela in attesa del colore, l’ombra che ristora, io, tu, noi.

Mentre la mente galoppava su sentieri scoscesi, gli occhi riprendevano bimbi che annaspavano per primeggiare sui compagni: cuccioli di homo sapiens in versione minions! 

Quando ho visto Samuel cadere ho aspettato prima di levarmi da terra e andargli in contro, in genere si rialza senza grosse paturnie. Questa volta, invece, è rimasto steso sulla ghiaia, e ha iniziato a piangere: non per la spinta ricevuta ma per il torto subìto. 

Sto cercando di capire se davvero stia facendo il suo bene: per natura buono, è felice di condividere i suoi giochi con gli altri; domanda il permesso di raccontare agli amichetti le cazzate che combina la mamma pasticciona; fa il pagliaccio per strappare un sorriso a un bimbo che vede triste; si entusiasma per un lancio del pallone riuscito ad ok, e ama condividerne la gioia; rassicura il compagno di giochi dicendo “riprova, ce la puoi fare!”; ad ogni gara o competizione il suo motto è “un pò si vince e un pò si perde!”; quando emette rutti stratosferici, a volte chiede scusa!.

E’ nell’età in cui registra tutto – o forse registra tutto per carattere – e dopo averlo tirato su da terra e rassicurato, singhiozzando mi domanda: “perché S. mi ha spinto? e perchè non mi ha chiesto scusa?”. Avrei voluto rispondergli semplicemente: perché è uno stronzo! Invece gli ho domandato a mia volta se, per caso, non fosse inciampato da solo. Risposta secca: “no, S. mi ha spinto, esattamente come quel bambino con la maglia blu al supermercato, davanti al distributore delle palline!” (circa un anno e mezzo fa!). Ho dovuto sottolineare a S. che il pallone con cui stava giocando era di Samuel, e chiedergli cortesemente di ridarglielo almeno per farlo smettere d’avercela con lui! A pace fatta, il papà di S. ammette che il figlio è un mezzo teppistello, e con mezzi termini li incentiva a riprendere i giochi.

Sono in difficoltà. Da una parte mi piacerebbe continuare ad assecondare la sua naturale propensione, dall’altra – forse – sarebbe più corretto smaliziarlo, renderlo sin da ora cosciente della realtà, spronarlo ad attaccare per non doversi difendere, dimostrargli come ad esser pericolosi, non sono la balena o lo squalo ma i pesci stronzi, scorretti e maleducati, i pesci gonfi di boria saccienza e ignoranza, quelli che mangiano per non essere mangiati e non per fame!  Sono combattuta. Perché non vorrei che si illudesse del fatto che a far bene c’è da guadagnarci e a far del male no, che la scorrettezza prima o dopo la si paga, che le ingiustizie devono essere denunciate e che la libertà propria finisce quando inizia quella altrui. Non sono più convinta che riprenderlo o insegnargli a giocar pulito sia cosa buona.

Ha diversi esempi nel suo quotidiano, la mia speranza è quella che prenda di tutto un pò e, che al momento opportuno, sappia farne buon uso. Di sicuro, a settembre, asseconderò la sua richiesta, accompagnandolo al corso di full contact, in cui l’ esercizio fisico si fonde con un percorso mentale e spirituale, legato sì al combattimento, ma come forma di percorso di individuale e difesa personale.

 

 

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